Presentazione delle foto scritta in occasione della mostra “I° Salon de la Chouette” – collettiva degli artisti di Artès – 3/17 Ottobre 2009, Parma, Galleria 360°.
Le opere esposte
Le 18 foto qui presentate sono state scattate durante un accurato reportage fatto alla Necropoli etrusca di Cerveteri, nel Lazio, durante l’agosto 2009.
L’idea riprende quella di una serie fotografica precedente, intitolata “Nemesi” – le cui immagini sono state scattate nel cimitero monumentale di Perugia durante l’agosto 2008 – che trattava l’argomento della morte intesa non come la fine di tutto ma come una fase naturale di un ciclo, una sorta di momento di passaggio dell’energia da uno stato all’altro. La visione sciamanica per cui tutto fluisce, quindi non una netta separazione tra il mondo dei vivi e di coloro che sono passati oltre, vorrebbe essere trasmessa anche attraverso le immagini di questi luoghi sotterranei che non fanno provare, a mio parere, una sensazione di oscurità ma un messaggio di pace e tranquillità.
Il ritorno nel grembo della Madre Terra è la conclusione, diciamo così, dello stato di materia in cui ci troviamo in questa realtà, ma è forse l’inizio di uno stato diverso in una dimensione differente – ma non lontana – da quella che viviamo tutti i giorni. Come se le due realtà confluissero una nell’altra e in certi momenti si toccassero, proprio come credevano molti popoli antichi (pensiamo alle feste dedicate ai defunti e all’Altromondo come il Samhain celtico, il 31 ottobre, cristianizzato poi come la notte di Ognissanti).
Eppure, la Madre, la Dea Terra, è lì paziente ad attendere il nostro ritorno: nasciamo da lei e a lei torniamo, in un abbraccio rassicurante.
Gli antichi lo avevano capito e per questo, solitamente, rappresentavano il mondo dei defunti, il mondo dell’Ade e degli Inferi, come il luogo che sta sotto la terra e nella nuda roccia (che invece, con il cristianesimo, divenne il luogo del demonio, l’Inferno), e spesso vi realizzavano vere e proprie città dei morti come nel caso degli Etruschi, che scavarono tutte le zone tufacee dell’Etruria, dando vita a queste enormi e meravigliose necropoli. Per popoli come quello etrusco, l’aldilà aveva una grande importanza e per questo crearono delle vere e proprie opere d’arte: ricordiamo che spesso le tombe dei nobili erano affrescate con scene di vita quotidiana, presentavano ricchi corredi e bellissime urne scolpite.
Ecco, quindi, un’idea, quella dell’ “archeo_poesia”, ovvero il cercare di far dialogare testi poetici antichi ed immagini, in modo tale che si possa far parlare il mondo arcaico – in questo caso dei Greci con cui gli Etruschi ebbero contatti – attraverso testi scritti, in una sequenza che racconti un viaggio, quello verso l’Ade, il mondo nel ventre della Dea Madre, la Terra, per poi risalire all’esterno. Il viaggio che fece Proserpina, tanto per capirci e – come lei – altri esseri mitologici e divini dell’antica Grecia.
I testi che ho scelto fanno parte della serie degli Inni Orfici, poesie dedicate ai diversi Dèi del Pantheon greco (lo sviluppo della tradizione orale orfica va dall’VIII al VI secolo a.C.; il consolidamento della stessa risale al periodo tra IV sec. a.C e II secolo d.C), e un Inno Omerico, un testo poetico che di omerico non ha nulla se non il nome, risalendo quest’opera al VII-VI secolo a.C. (queste opere letterarie vengono dette “omeriche” in quanto scritte con lo stesso dialetto e la metrica poetica di Iliade ed Odissea).
Le prime quattro immagini riportanti l’Inno orfico a Persefone/Prosperpina/Kore, la figlia della Dea dell’agricoltura Demetra, rapita da Ade – un atto che causò la sterilità della terra per via della rabbia della madre disperata – vorrebbero indicare il passaggio per gli Inferi, l’entrata nella nuda roccia e nella terra. L’entrata nell’Ade somiglia ad una vulva femminile e la scritta in rosso sembra ricordare il sangue della vita che scorre dalla madre quando partorisce il proprio figlio, o anche solo il ciclo mensile femminile…è un qualcosa di inquietante, che venne sentito dall’umanità come un Mistero a lungo. La madre Terra è Proserpina stessa, è la Dea che come è Fanciulla (Kore prima di essere rapita da Ade/Plutone) diviene moglie/amante del suo Dio e alla fine è madre come la stessa Demetra. Come essa dà la vita, può portarci anche alla fine dell’esistenza e richiamarci a sé, nel suo ventre, di cui questa è l’entrata. In quel momento appare una visione celeste, come se alla fine del tunnel apparisse una luce evanescente, l’Altromondo o la Dea stessa nel suo fulgore quasi spiritico, che tutto illumina, anche il buio della notte più scura. E’ Persefone che ci viene incontro e ci mostra il cammino verso il luogo del nostro riposo, lei che come tutti nutre ci può anche far addormentare per sempre. Siamo negli Inferi, il regno di Ade/Plutone, lo sposo della Dea, lo Zeus infero. E’ lui che regna nel mondo dei morti, di coloro che si muovono nel mondo sotterraneo e delle ombre. Il viaggio prosegue nel ventre della Madre Terra, fatto di cunicoli, porte, stanze, letti di roccia tufacea, dal colore caldo come solo l’abbraccio di una madre può essere, fino a che iniziamo ad intravedere una luce, il mondo di sopra, l’esterno si inizia a percepire … una scala inondata di luce, dei rami che però ci bloccano un passaggio che dà su un’altra dimensione, mentre l’antico bardo ci narra di Demetra, della sua ricerca della figlia, di colei che ha perduto perché rapita da un Dio innamorato. E mentre vediamo il varco, iniziamo il percorso verso l’uscita dell’utero materno, mentre Persefone torna verso la luce, verso la madre. Ecco il verde, la natura rigogliosa di Demetra che, felice, ha ritrovato l’amata figlia e quindi ridona vita alla vegetazione. E infine Zeus giunge, come un raggio di sole, una luce divina, che ci avverte: Proserpina è tornata, ma per una certa parte dell’anno, mentre per il tempo restante vivrà con il marito nell’Ade. Ci trastulliamo così, per il momento, sotto il cocente sole estivo, all’ombra di un ramo che quasi sembra la sagoma di una donna che sale al cielo verso il mondo degli Dèi. Un ciclo è compiuto, un altro inizierà nuovamente come solo il ciclo delle stagioni, della vita, della morte e della rinascita, può compiersi.
Sarah Bernini
Nota tecnica
Le immagini degli interni delle tombe sono state realizzate tutte senza alcun tipo di appoggio come cavalletto o monopiede, in condizioni difficoltose, nella maggioranza dei casi senza l’ausilio di illuminazione artificiale, con la pochissima luce che filtrava dall’ingresso molto spesso lontano dal luogo poi fotografato. La fotocamera reflex (10 MPX) dotata di zoom 18-55 mm è stata regolata con la sensibilità 1600 ASA/ISO e il diaframmi utilizzati risultano compresi sempre da 3.5 a 4.5 (massime aperture). I tempi di scatto, quasi impossibili per evitare il mosso, sono stati da 1/10 di secondo a 1/2 secondo, sempre a mano libera.
Gianluca Bernini